Non immischiarsi era la regola principale a Dacca House. Se un giorno un vicino avesse deciso di farla finita impiccando prima la famiglia e poi se stesso nel cortile, gli altri senza dubbio sarebbero rimasti davanti alle loro porte a guardare.. Non c'erano esseri umani a Dacca House: solo topi,. scarafaggi e zombi.
Dusman osserva disgustato e, allo stesso tempo affascinato, la gente intorno a lui, quei "senza volto" costretti nel circolo vizioso della loro miseria ad agitarsi in un movimento aberrante, senza inizio, senza fine e senza scopo, proprio come gli scarafaggi che lo ossessionano tanto nella sua stanza a Dacca House:
Li aveva visti ballare sul pavimento polveroso, sul tavolo della cucina, ovunque vi fosse abbastanza posto per due di loro. Uno dietro l'altro si muovevano ripetutamente in circolo senza alterare minimamente la velocità e la direzione. Si trattava di una danza stupida e futile e ciononostante sembrava divertirli moltissimo. Egli li aveva osservati molte volte e si era chiesto se si trattasse di un rituale o di una danza di corteggiamento, o di qualche assurdità innata che non riuscivano a controllare, una debolezza genetica che imponeva loro di continuare a fare la stessa cosa senza senso a dispetto delle dimensioni e delle prospettive del resto del mondo. Alle volte avrebbe voluto parlare, chiedere loro perchè fossero così ottusi e perchè diavolo si ostinassero a ballare una danza assurda e incomprensibile.
Dusman infine troverà il coraggio di rompere il silenzio ed affronterà i suoi vicini per chiedere loro di firmare una petizione contro l'aumento dell'affitto; ma sarà giudicato pazzo dalla maggioranza e troverà ben pochi sostenitori. Il finale del romanzo resta aperto. Si può sperare che Dusman e i suoi abbiano la meglio, molto probabilmente invece saranno schiacciati, ma nella battaglia comune contro l'ingiustizia troveranno finalmente un'identità: impareranno che essere umani significa innanzitutto lottare, uscire dal circolo vizioso della "danza dello scarafaggio".
Mwangi si distacca brevemente dal tema della denuncia sociale The Bushtrackers (I battitori) del 1979 e Bread of Sorrow (Pane di dolore) del 1987, che rientrano nel filone del romanzo d’avventura, per tornare a descrivere i problemi che affliggono il suo Paese e il continente africano in generale in The Return of Shaka (1989), Weapon of Hunger (1989), Striving for the Wind (1990) e The Last Plague (2000), romanzo particolarmente riuscito che tratta dell’”ultima piaga”, ovvero la diffusione dell’AIDS.
L'autore ha anche pubblicato diversi libri per ragazzi, Jimi the Dog (1990), Little White Man (1990), che ha ricevuto diversi premi ed è stato tradotto in diverse lingue, The Hunter’s Dream (1993) e Mountain of Bones (2001).
I romanzi più recenti di Mwangi, pubblicati dalla casa editrice HM da lui fondata, sono The Boy Gift (2006) e Mama Dudu: The Insect Woman (2007). L’autore ha in progetto di pubblicare presto nuove edizioni di alcuni dei suoi romanzi precedenti.
Mwangi, che ha sempre sentito il romanzo come il genere più congeniale alla sua espressione artistica, ha scritto anche diversi racconti, soprattutto negli anni settanta e per riviste locali, come Drum, Joe Magazine e Umma.
«Afcolta, Fam» («I Say, Tham»), che appare in questo sito in traduzione italiana, è stato pubblicato sul quotidiano americano The Daily lowan nel 1975, quando Mwangi si trovava negli Stati Uniti per un seminario. In questo racconto l'autore descrive con grande sensibilità e semplicità di stile i diseredati, che di notte popolano i bar più infimi di Nairobi in cerca di evasione da una vita di stenti.
Lo scrittore non scade mai nel patetico e la commozione che, scaturisce dalla tragicità delle situazioni si stempera sempre in quel suo umorismo caratteristico, che pervade tutto il racconto.
Il linguaggio parlato, la brevità delle frasi e l'ampio uso del dialogo ci offrono un'immagine estremamente vivace e problematica di una società in disfacimento, pervasa da una profonda inquietudine: «Se si esce per la strada si ha la sensazione che tutti vivano isolati nel loro piccolo mondo, e ciononostante provano una sensazione di malessere, a cui non sanno dare nome. Questa è la coscienza, che cerco di dare loro». Il finale aperto sembra suggerire come unica via per l'emancipazione il recupero, da parte degli emarginati, della loro umanità perduta a contatto con la corruzione, di quel senso di solidarietà che è la condizione essenziale sia per il riscatto individuale, sia per l'aggregazione nella lotta contro le ingiustizie sociali. Ed è proprio questo il messaggio che caratterizza tutte le opere di Meja Mwangi.
Introduzione alle opere di Meja Mwangi Cristiana Pugliese
L'umanità alla deriva, che vive ai margini della società nei grandi centri urbani, è la protagonista privilegiata delle opere del keniano Meja Mwangi.
Di etnia gikuyu, l'autore nasce a Nanyuki nel 1948 ed inizia a scrivere intorno al 1965, quando frequenta ancora la scuola superiore. Ciò che lo spinge verso la creazione di un'opera letteraria è la lettura del primo romanzo di Ngugi wa Thiong'o, Weep not, Child (Non piangere bambino). Per il giovane è una sorta di rivelazione, qualcosa di totalmente diverso dalle opere scritte dagli autori europei, che aveva studiato fino a quel momento e trovava così estranee alla sua cultura. Sente allora anch'egli il bisogno di raccontare una storia ed inizia a scrivere Taste of Death (Sapore di morte), pubblicato successivamente nel 1975, in cui narra le vicissitudini di alcuni combattenti «Mau Mau» durante la lotta contro il colonialismo inglese. Tratterà lo stesso argomento in Carcase for Hounds (Carcassa per i cani), edito nello stesso anno.
Nel clima della disillusione, che segue l'indipendenza politica del Kenya, emergono scrittori «colti» come Kibera, Kahiga e Ngugi wa Thiong'o e, parallelamente, si sviluppa una letteratura «popolare» di grande successo commerciale, i cui rappresentanti più conosciuti sono Charles Mangua e David Maillu. Le loro opere offrono una visione distorta della realtà urbana, che viene spesso romanzata. I personaggi si muovono a loro agio nella corruzione dilagante, si ubriacano, frequentano i bordelli e i locali notturni. Ma l'atteggiamento degli autori è acritico, semplicistico, e spesso si riduce quasi ad una celebrazione di questo stile di vita. Mwangi, invece, si distacca completamente da loro: «La maggioranza dei romanzi "popolari" non ha affatto un messaggio. Io non posso scrivere libri del genere. Mi piace sviluppare una storia seria in prosa. Penso che, in un'opera, la morale sia di gran lunga più importante del divertimento. Questi, ovviamente, non dovrebbero essere separati e la morale non dovrebbe mai andare a scapito della trama, quanto piuttosto allargare il significato dell'esperienza: è questo il tipo di storia che io voglio scrivere».
Secondo lo scrittore la funzione dell'artista consiste nel mettere in luce determinati problemi perché tutti ne possano prendere coscienza: «Ci sono idee che devono essere discusse per essere condivise con la società in cui si vive. Questo desiderio di dire qualcosa di socialmente rilevante dovrebbe motivare la gente a scrivere».
Non esiste altro autore in Africa che, come Mwangi, abbia indagato a fondo il problema dell'emarginazione. I diseredati divengono per la prima volta i protagonisti dell'opera letteraria, ma senza falsi compiacimenti, né sterile compassione: sì tratta di personaggi a tutto tondo, con la loro complessità e anche le loro debolezze.
Il romanzo Kill Me Quick (Uccidimi in fretta), pubblicato nel 1973, è incentrato sul fenomeno della disoccupazione giovanile. Il protagonista è un diplomato pieno di speranze, che lascia il villaggio di origine per cercare lavoro a Nairobi. Il mondo che lo attende è crudele, spietato, ed egli capirà ben presto quanto sia inutile sottoporsi alle umiliazioni della ricerca di un impiego. Affamato e disperato, fa amicizia con un altro ragazzo, Maina, anche lui un diplomato disoccupato, che gli insegna a vivere ai margini della società nutrendosi dei rifiuti dei supermercati e dormendo nei cassoni della spazzatura. L'atmosfera generale di decadenza e putrefazione non fa che sottolineare una situazione sociale e morale di corruzione. Vivere in queste condizioni non è che una morte lenta e dunque l’unica speranza che resta a questi giovani è di morire in fretta per non soffrire ulteriormente o venire contaminati dall'ambiente, come il titolo e i versi che precedono il romanzo esprimono efficacemente:
(...) Di una cosa t’imploro: se il sole deve tramontare per me, se tutto dovrà finire, se ti dovrai liberare di me, nel modo in cui hai fatto con tutti i miei amici, se devi uccidermi, fallo in fretta, UCCIDIMI SUBITO.
Meno riuscita di Kill Me.Quick è la seconda opera dì Mwangi che ha per tema la vita a Nairobi, Going Down River Road (Scendendo per River Road), pubblicato nel 1976.. Ben,. il protagonista, lavora come muratore in un’impresa di costruzioni diretta da indiani. Il suo rapporto conflittuale con il datore di lavoro mette in luce il problema della convivenza, a volte difficile, fra africani e indiani. Questi ultimi si trovano infatti nella scala sociale "un gradino più in basso rispetto agli indiani, i quali a loro volta si trovano un gradino più in basso rispetto ai bianchi". Il protagonista, dopo varie vicissitudini, si trova a dividere con altre persone una misera baracca di cartone e fango vicino ad un fiume malsano. A Mathare Valley, alla periferia nord-orientale di Nairobi, i baraccati conducono una vita precaria aspettando che i bulldozer del governo radano al suolo le loro abitazioni, che immancabilmente vengono. ricostruite in gran fretta:
C'è qualcosa di malefico nelle baracche. Bruciano all'alba e ritornano a vivere al crepuscolo. Non si riesce a tenerle a badar il Comune lo sa. Distruggile quante voi te vuoi e queste ricresceranno come funghi altrettante volte.
La vita della povera gente, descritta puntualmente in Going Down River Road, si arricchisce di ulteriori significati in The Cockroach Dance (La danza dello scarafaggio), pubblicato nel 1979, probabilmente l’ opera più riuscita di Mwangi. Ci troviamo infatti di fronte ad un romanzo molto più complesso rispetto ai precedenti, dove le ossessioni e le allucinazioni del protagonista diventano parte integrante della narrazione: ormai l’incubo è la realtà e la realtà è l’ incubo.
Sia il nome del protagonista, Dusman, che richiama dustman (“spazzino”, ma anche “uomo di polvere”), sia il cognome spagnolo, Gonzaga, stanno ad indicare la sua spersonalizzazione. Non c’è più traccia delle sue origini africane, non conosciamo né il suo passato né la sua etnia: si tratta di un uomo senza radici culturali, di un “uomo di polvere”, appunto. La vita di Dusman è particolarmente alienante; egli è costretto a fare un lavoro che odia e che lo ossessiona, il lettore di parchimetri per il Comune, e abita a Dacca House, un cadente edificio infestato da topi e scarafaggi, in un quartiere povero e malfamato di Nairobi.
Come in Kill Me Quick Mwangi aveva messo in evidenza il problema della disoccupazione giovanile e in Going Down River Road quello dei baraccati e del rapporto tra africani e indiani, in questo romanzo egli affronta il problema forse più drammatico delle grandi città: quello della casa. A Nairobi, ad esempio, gli affitti sono troppo cari perchè il comune lavoratore sia in grado di pagarli ed inoltre ogni anno la situazione peggiora ulteriormente a causa dell'incremento demografico e del massiccio inurbamento.. Non ci sono abbastanza alloggi per soddisfare la domanda sempre crescente e quindi padroni di casa senza scrupoli possono permettersi di chiedere cifre esorbitanti per miseri bugigattoli carenti dal punto di vista igienico come quello in cui vive il protagonista di The Cockroach Dance. La miseria degli abitanti di Dacca House non è però solo materiale, ma anche spirituale e morale. Tutti cercano di sopravvivere l'uno alle spalle dell'altro:
Non era necessario che la gente avesse realmente bisogno di qualcosa o sapesse come usarla(...) la voglia impellente di arraffare, arraffare, arraffare si stava diffondendo come un'epidemia; così se qualcuno lasciava una scarpa vecchia e logora fuori dalla porta gli altri la rubavano.
Il senso comunitario e la solidarietà che legavano gli individui nella società tradizionale si sono smarriti per sempre: